In nessun altro posto naturale in Italia, come in Alta Murgia è possibile osservare un paesaggio frutto del lavoro a quattro mani compiuto dalla natura e dall’uomo in secoli di storia. Camminando e pedalando in quella che, attualmente, è l’unica pseudo steppa continentale italiana non si può fare a meno di incrociare con lo sguardo, in ogni direzione, le tracce dell’intervento dell’uomo su paesaggio. Detto così, abituati come siamo agli scempi quotidiani con i quali l’urbanizzazione ferisce l’ambiente, difficilmente si riesce ad immaginare quello che è avvenuto in questo angolo della nostra Penisola; la forte simbiosi tra uomo e ambiente caratteristica delle società tradizionali è già stato argomento di abbondanti approfondimenti socio-antropologici; ma ciò che è avvenuto in Alta Murgia è uno dei più spettacolari esempi di questa commistione. Le popolazioni dell’Alta Murgia hanno lavorato per secoli con l’obiettivo di bonificare e rendere vivibile e fruttuoso un ambiente apparentemente e, per molti aspetti, realmente ostile.
Il terreno poco fruttuoso per scopi agricoli (le parti più alte delle colline) è stato utilizzato da sempre come pascolo per gli ovini, le lame invece (gli avvallamenti tra un declivio e l’ altro), dove in antichità scorrevano fiumi (i cui nomi sono ancora presenti nella toponomastica dei luoghi, e lì dove ancora oggi le precipitazioni atmosferiche concentrano la maggior quantità di acqua rendendo il terreno più fertile), ebbene proprio lì, un certosino lavoro di rimozione delle pietre (spietratura) ha reso destinabili a coltura agricola ampi spazi di territorio. Tutto il materiale pietroso rimosso per dissodare il terreno è stato utilizzato quindi per costruire manufatti edili ancora oggi presenti, la maggior parte in abbandono, come fantasmi di un passato non così lontano nel tempo. Come sempre,insomma, in tempi di povertà economica, l’uomo fa di necessità virtu’ ed ecco sorgere in ogni dove muretti, jazzi, piscine, trulli, specchie, tutte opere ralizzate attraverso la tecnica della costruzione “a secco” senza cioè l’utilizzo di alcun materiale con funzione di collante tra pietra e pietra ma solo attraverso l’incastro “ad arte” delle pietre stesse. Perché possiate avere un idea chiara di quanto detto, nelle pagine di questa sezione del sito troverete specifici approfondimenti su ciascuno di questi manufatti.
I MUNGITOI
Sono delle costruzioni a secco, di solito poste nelle vicinanze delle masserie. Hanno la forma di due circonferenze unite da un costruzione (lamione), insomma una forma a 8, un recinto in alto e uno in basso.
Le pecore entravano nel primo recinto circolare e poi, una alla volta, entrano nel lamione, all’interno del quale venivano munte per poi passare nell’altro recinto circolare.
LE QUITE
Particolari della zona di Santeramo sono le Quite (quote); terreni demaniali comunali parcellizzati e assegnati alla fine del XIX ai contadini più poveri con lo scopo di ridurre le disparità socio-economiche. Il territorio prende così la forma di un reticolo ordinato di appezzamenti terrieri divisi da muretti a secco. Peccato che, le pressioni e la prepotenza delle classi più ricche (ex feudatari) che avevano tacitamente e abusivamente annesso terreni demaniali alle loro proprietà , fecero si che alle classi meno abbienti venissero assegnati i terreni più poveri e difficilmente coltivabili, vanificando il senso stesso dell’iniziativa statale.
LE SPECCHIE
Passeggiando o pedalando per la Murgia è comune imbattersi, sparsi nei campi coltivati, in cumuli di pietre ammassati in maniera casuale.
Varie ipotesi sono state formulate sulla funzione di questi manufatti, e tra queste la più attendibile è quella che li considera il risultato della spietratura dei terreni destinati al pascolo o alla coltivazione, insomma, al fine di “bonificare” i campi da destinare all’agricoltura, si rimuoveva dalla superficie degli stessi tutto il materiale pietroso, ammassandolo in cumuli, a formare le “specchie” che, contemporaneamente, divenivano anche deposito di pietra per la costruzione di veri e propri manufatti (trulli o muretti a secco..).
C’è chi afferma anche che il nome “specchia” derivi da Specula, che in latino significa Vedette, questa spiegazione richiamerebbe l’utilizzo delle stesse come punti di osservazione soprelevati.
Ma le Specchie potevano essere anche un visibile limite di confine ad un feudo o ad un Università come si può dedurre da un antico documento nel quale si parla di “…un paritone con molte specchie e titolo (che) denotava la divisione tra il territorio di Ruvo et Altamura”.
Con certezza possiamo affermare che alcune specchie siano forme di tumulazione utilizzate tra L’Età del Bronzo recente e l’Età del Ferro.
Un’altra ipotesi, che non esclude le prime tre, individua nelle Specchie la funzione di “condensatori di umidità”, esse, infatti, come tutti gli altri manufatti in pietra, ricondenserebbero l’acqua evaporata dal terreno, dopo le poche precipitazioni, evitandone la dispersione.
I MURETTI A SECCO
Generalmente avevano la funzione di delimitare le proprietà private, garantendo un maggiore controllo del gregge al pascolo, ma spessissimo possiamo trovare piccole porzioni di muro poste una parallelamente all’altra con la funzione di rallentare, nelle zone acclivie, il flusso delle acque meteoriche nelle rare, ma, a volte, torrenziali piogge, evitando così l’erosione del suolo.
I muretti a secco, in oltre, costituiscono un microambiente, habitat di varie forme di vita vegetale e animale. Da un punto di vista microclimatico il muro registra una forte variabilità durante l’arco temporale delle 24 ore quotidiane. Si possono rilevare escusioni termiche anche di 15-20 gradi tra giorno e notte.